PAOLO POMATI Sono stato eletto nell’ottobre 2015 e sono entrato in carica durante una magnifica serata nella stupenda cornice della Tenuta Gaiano presso Camino, antica residenza estiva dell’abate di Lucedio, messa amichevolmente a disposizione dagli attuali proprietari, i soci Luca e Graziella Migliau. Ho ricevuto da Mauro Pigino il collare grondante di storia, con i nomi di ben 53 presidenti che si sono succeduti dal 25 luglio 1954, data della nostra ammissione al Rotary International. Non sto a raccontarvi l’emozione; posso solo ricostruire, forse in forma più sintatticamente corretta, il primo discorso che ho tenuto di fronte ai 120 presenti. Con l’aiuto di tutti, mi piacerebbe declinare questo anno rotariano con i significati espressi dalle tre parole “cura”, “condivisione” e “coraggio”. Sono le prime tre “C” che mi sono venute in mente, anche se a ben vedere ce ne sarebbero molte altre (comunicazione, creatività, contatto…). La cura è fondamentale per un club storico come il nostro. Significa prestare attenzione, assicurare la buona manutenzione, sorvegliare il presente e coltivare il futuro. Tutte le classi anagrafiche sono rappresentate nel nostro club; abbiamo una presenza femminile inusuale nel panorama distrettuale. Interact e Rotaract sono fiorenti, i rapporti internazionali con i club di Nîmes e di Dortmund sono attivi, cordiali e propositivi. Curare i soci vuol dire sincerarsi di come la pensano, di come possono aiutarci attivamente a realizzare gli obiettivi. Ogni attività diventa creativa quando chi la fa si prende cura di farla bene o meglio; per questo c’è bisogno di una squadra allargata che non si limiti alle sole cariche sociali e che tenga conto dell’esempio illuminante di coloro che ci hanno preceduto. Su quelle bianche tavole così elegantemente allestite sono sicuro che si trovassero a festeggiare con noi i nostri cari defunti, come descrive il Pascoli nel canto «La tovaglia». Se non c’è condivisione, un presidente rischia di essere un battitore libero, con il pericolo di non combinare assolutamente nulla nella sua solitaria partita. Quest’anno, invece, vorrei preparare con voi un grande sacco da cui attingere le nostre competenze ed esperienze, promuovere una partecipazione più convinta, lanciare la collaborazione per i service più importanti. Il Rotary è stata una invenzione “pazzesca”: il nostro fondatore Paul Harris ci ha posto come missione quella di porci al servizio dell’umanità, di essere amici, di promuovere la pace, di svolgere il nostro lavoro non per profitto, ma per far andare avanti il mondo. Mi ha sempre affascinato la concezione manzoniana della storia, costruita non solo dai grandi eventi e dai personaggi famosi, ma dai milioni di Renzi e di Lucie che vivono il quotidiano con amore, proprio come dovrebbe fare ogni socio rotariano. Lo scrittore Robert Louis Stevenson, grande viaggiatore, ammaliato dal fascino delle isole Samoa, ebbe a dire: «Tieni le tue paure per te, ma condividi il tuo coraggio con gli altri». È ciò che ci chiede il Rotary: il coraggio di cambiare dove c’è bisogno di farlo; di allargare gli orizzonti, di stendere programmi che respirino oltre ogni vuoto formalismo; di «spiegare le vele e andare dove il mare è più alto», come ci ammonisce il Vangelo secondo Luca (5, 4). Bisogna anche avere il coraggio di divertirsi; me l’ha ricordato la decade di fine giugno zeppa di prodigi, dal solstizio d’estate alla rugiada di san Giovanni alla barca di san Pietro. Dobbiamo far esplodere la vita e bandire i brontolii di coloro cui non va mai bene nulla; già ce lo ricordava Catullo, inebriato dall’amore per Lesbia («Vivamus atque amemus, rumoresque senum unius aestimemus assis», Carmina, 5). È inutile interrogare il destino, non ha senso consultare gli oroscopi per prevedere come sarà il Rotary tra un anno. Afferriamo l’attimo e godiamocelo fino in fondo, come sosteneva Orazio («Carpe diem, quam minimum credula postero», Carmina, I, 11). Progettiamo il domani, ma non rendiamolo padrone delle nostre vite. |